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Il patto di quota lite

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Il patto di quota lite è l’accordo con il quale all’Avvocato viene riconosciuto, dal cliente o dalla parte assistita, a titolo di compenso, una quota del bene oggetto della prestazione o della res litigiosa.

Indice

1. Definizione ed evoluzione normativa

Il patto di quota lite è l’accordo con il quale all’Avvocato viene riconosciuto, dal cliente o dalla parte assistita, a titolo di compenso, una quota del bene oggetto della prestazione o della res litigiosa[1].
Trattasi di un accordo in forza del quale la misura del compenso viene convenzionalmente correlata al risultato pratico dell’attività professionale svolta[2].
Il relativo divieto, codificato dall’art. 2233 comma 3 c.c. nella sua originaria formulazione e ribadito dall’art. 45 Codice Deontologico Forense previgente, è stato ritenuto, dalla maggioranza degli interpreti, rimosso dall’ordinamento ad opera dell’art. 2 del D.L. n. 223 del 2006, convertito, con modifiche, nella legge n. 248 del 2006[3], per essere poi reintrodotto dall’art. 13 comma 4 della L. n. 247/2012 e, di rimando, dall’art. 25 comma 2 del Codice Deontologico Forense attualmente vigente.
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2. Ratio del divieto

Il divieto del patto di quota lite risponde ad una duplice esigenza: quella di evitare che il cliente e la parte assistita possano subire un’ingiusta falcidia dei vantaggi economici conseguenti all’esito vittorioso della lite[4] e quella di assicurare il rispetto, da parte dell’Avvocato, dei fondamentali doveri di probità e correttezza a difesa del cliente e della dignità e decoro della professione[5].
Mediante la previsione del divieto si è inteso salvaguardare l’indipendenza dell’Avvocato nell’adempimento del mandato professionale, evitando potenziali commistioni di interessi con il cliente  sull’esito della lite.

3. Le ipotesi previste dall’art. 13 c. 3 e 4 della L. n. 247/2012

L’art. 13 commi 3 e 4 della L. n. 247/2012 ha creato significativi problemi interpretativi.
Si è posta, infatti, la necessità di armonizzare la previsione del comma 4, a termine del quale <<sono vietati i patti con i quali l’avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa>> con quella, contenuta nel comma 3, secondo cui <<La pattuizione dei compensi è libera: è ammessa la pattuizione ……. a percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello astrattamente patrimoniale, il destinatario della prestazione>>.
Il primo intervento sul punto è stato operato dal Consiglio Nazionale Forense il quale, ritenendo che l’inciso << su quanto si prevede possa giovarsene>> evochi un rapporto con quanto si prevede e non con ciò che costituisce il consuntivo della prestazione professionale, ha individuato il discrimine tra la pattuizione consentita e quella vietata nella necessità che la percentuale sia pattuita in relazione al valore dei beni e degli interessi litigiosi e non già al risultato finale, concludendo comunque per l’illiceità dell’accordo sulla definizione del compenso stipulato in epoca prossima al termine dell’incarico ovvero nell’ipotesi in cui l’an ed il quantum della fattispecie contenziosa siano stati di fatto già delineati in entrambe le sue componenti. La sentenza, in particolare, evidenzia che  l’esegesi dell’inciso nei termini di cui sopra è coerente sia con il dato letterale che <<con la ratio del divieto dal momento che accentua il distacco dell’avvocato dagli esiti della lite, diminuendo la portata dell’eventuale commistione di interessi quale si avrebbe se il compenso fosse collegato, in tutto o in parte, all’esito della lite, con il rischio così della trasformazione del rapporto professionale da rapporto di scambio a rapporto associativo>> [6].
A tale intervento del Giudice domestico si sono succeduti ulteriori interventi della giurisprudenza di merito che hanno individuato il patto di quota lite vietato dall’ordinamento in quello avente ad oggetto la determinazione del compenso in misura proporzionale al quantum percepito dal cliente all’esito del giudizio e ciò anche se, nell’arco temporale della vigenza del cd. Decreto Bersani, stipulato in forma scritta.[7]

4. Il patto di quota lite stipulato nel periodo intermedio

Come più sopra evidenziato, dall’entrata in vigore della novella dell’art. 2233 c.c. e sino all’entrata in vigore della nuova Legge Professionale Forense, il patto di quota lite era consentito purché stipulato in forma scritta.
L’introduzione della nuova disciplina, la quale ha abrogato le disposizioni che prevedevano l’obbligatorietà delle tariffe minime ed il divieto di pattuire compensi parametrati ai risultati raggiunti, ha imposto la modifica dell’art. 45 Codice Deontologico Previgente mediante la previsione della liceità della pattuizione <<di compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi e sempre che i compensi siano proporzionati all’attività svolta>> purchè consacrata in atto scritto.
Sulla valutabilità, anche in sede disciplinare, dell’equità del patto di quota lite civilisticamente lecito si sono formati due contrapposti orientamenti giurisprudenziali di legittimità:
il primo, secondo il quale << L’art. 2 del D.L. n. 223 del 2006, convertito nella legge n. 248 del 2006, nel disporre l’abolizione del divieto previsto dall’art. 2233, comma 3, c.c. e nell’ammettere pattuizioni, purché redatte in forma scritta, di compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, ha previsto la necessità di adeguare le norme deontologiche alle nuove regole. L’avvocato può, dunque, pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi a condizione che i compensi siano proporzionati all’attività espletata, onde evitare sanzioni disciplinari. Pertanto, la proporzione e la ragionevolezza nella pattuizione del compenso restano l’essenza comportamentale richiesta all’avvocato, a prescindere dalle modalità di determinazione del corrispettivo a lui spettante, con la conseguenza che l’aleatorietà dell’accordo quotalizio non esclude la possibilità di valutarne l’equità, in considerazione del valore e della complessità della lite e della natura del servizio professionale, comprensivo dell’assunzione del rischio>>[8], confermato recentissimamente nei seguenti termini << Il patto di quota lite, stipulato dopo la riformulazione del terzo comma dell’art. 2233 c.c. operata dal D.L. n. 223 del 2006, convertito in legge n. 248 del 2006, e prima dell’entrata in vigore dell’art. 13, comma 4, della L. n. 247 del 2012, che non violi il divieto di cessione dei crediti litigiosi di cui all’art. 1261 c.c., è valido se, valutato sotto il profilo causale della liceità e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dai contraenti, nonché sotto il profilo dell’equità alla stregua della regola integrativa di cui all’art. 45 del codice deontologico forense, nel testo deliberato il 18 gennaio 2007, la stima tra compenso e risultato effettuata dalle parti all’epoca della conclusione dell’accordo non risulta sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, rispondendo allo scopo di prevenire eventuali abusi a danno del cliente e di impedire la stipula di accordi iniqui alla tutela di interessi generali>>[9];
il secondo, a termini del quale << il patto di quota lite, stipulato durante la vigenza dell’art. 2 D.L. 04/07/2006, n. 223, e prima dell’entrata in vigore dell’art. 13 L. 247/2012 può validamente prevedere compensi maggiori rispetto ai massimi tariffari, in primo luogo, perché la norma menzionata, contenendo una disposizione speciale rispetto al successivo comma 2, elimina in modo “secco” ed univoco il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti senza alcun limite, ed inoltre, perché l’art. 2233 c.c. pone una gerarchia di carattere preferenziale tra i criteri di determinazione dell’onorario del professionista, considerando prima di tutto l’accordo delle parti e, solo in sua mancanza, le tariffe professionali, gli usi e la decisione del giudice, con la conseguenza che, assumendo le tariffe massime un ruolo sussidiario e recessivo, esse continuano ad essere obbligatorie, in base all’art. 2, comma 2, d.l. cit., solo nel caso in cui non sia concluso alcun patto tra avvocato e cliente>>.[10]

5. Nullità del patto quota lite – conseguenze

In caso di nullità del patto di quota lite, l’Avvocato conserva comunque il diritto di ricevereil compenso delle sue prestazioni sulla base dei parametri, posto che la nullità non determina l’invalidità dell’intero accordo[11].

In ragione della natura amministrativa degli illeciti deontologici, in caso di abrogazione della fattispecie tipizzate nel Codice Deontologico, non trova applicazione analogica il principio del favor rei di cui all’art. 2 c.p. quanto, piuttosto, quello del tempus regit actum.[12]
In applicazione del suddetto principio, il Consiglio Distrettuale di Disciplina Forense presso la Corte d’Appello di Napoli ha stabilito che <<Il patto di quota lite sottoscritto in data anteriore all’abrogazione del divieto intervenuto ex L. 248/2006, essendo comunque violativo dei previgenti artt. 2233 co 3 c.c. e 45 CDF, integra l’illecito previsto dall’art. 25 co. 2 CDF in vigore, non solo perché il predetto divieto è stato reintrodotto dall’art. 13 co. 4 L. 247/2012, ma anche perché la precedente abrogazione non elide l’antigiuridicità delle condotte pregresse, rientrando la violazione deontologica nel genus degli illeciti amministrativi per cui non trova applicazione il principio del favor rei, bensì quello del tempus regit actum>>.[13]

7. Il palmario

Il palmario si configura essenzialmente quale compenso di carattere straordinario dovuto oltre quello spettante al legale per le singole prestazioni giudiziali; pertanto, la sua stipulazione può prescindere da qualsiasi previsione sull’esito della lite, ovvero tale previsione può formare oggetto di espressa pattuizione tra le parti[14].
Trattasi di pattuizione assolutamente consentita dall’art. 13 comma 3 della L. n. 247/2012[15] , purchè non dissimuli un patto di quota lite. In particolare il Consiglio Nazionale Forense ha individuato i limiti deontologici del palmario affermando che la pattuizione di un compenso ulteriore per l’ipotesi di esito vittorioso della lite deve rispettare i requisiti di ragionevolezza e congruità rispetto al risultato raggiunto[16], facendo in tal modo applicazione del principio, espresso dalla Suprema Corte, secondo cui la pattuizione, per il caso di esito favorevole del giudizio, di un compenso aggiuntivo che si traduca in un’ingiustificata falcidia, in favore dell’avvocato, dei vantaggi economici derivanti dalla vittoria della lite,  integra gli estremi del patto di quota lite.[17]

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Giuseppe De Marzo, Ida Cubicciotti, Cristina Maria Celotto | Maggioli Editore 2019

  1. [1]

    Artt. 13 comma 4 L. n. 247 del 31.12.2012 e 25 n. 2 Codice Deontologico Forense pubblicato in GU Serie Generale in data 16.10.2014

  2. [2]

    <<…il “patto di quota lite” – il quale ben può ravvisarsi in una promessa unilaterale costituendo questa un negozio causale nel quale l’astrazione della causa è limitata all’ambito processuale – va rinvenuto non solo quando il compenso del legale consiste in parte dei beni o dei crediti litigiosi – secondo l’espressa previsione della norma costituente solo, in relazione alla “ratio” della tutela, la tipizzazione dell’ipotesi di massimo coinvolgimento del legale e che pertanto non esaurisce il divieto – ma anche quando quello sia stato comunque convenzionalmente correlato al risultato pratico della attività svolta: realizzandosi così quella partecipazione del professionista agli interessi pratici esterni alla prestazione>> (Corte di Cassazione,  Sez. Civ. II, sentenza n. 11485 del 19 novembre 1997, in Wolters Kluwer Leggi d’Italia)

  3. [3]

    Minoritario era l’indirizzo ermeneutico secondo il quale, permanendo il divieto di cessione dei crediti litigiosi ex art. 1261 c.c., il divieto del patto di quota lite non poteva ritenersi abrogato (Scarselli, Il decreto Bersani e le tariffe forensi, in Foro it. 2007, IV, 23)

  4. [4]

    Corte di Cassazione (pres. Vittoria, rel. Botta), SS.UU, sentenza n. 21585 del 19 ottobre 2011, in www.codicedeontologico-cnf.it

  5. [5]

    Corte di Cassazione (pres. Raimondi, rel. Cirillo), SS.UU, sentenza n. 6002 del 4 marzo 2021 in www.codicedeontologico-cnf.it

  6. [6]

    Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Morlino, rel. Borsacchi), sentenza del 30 dicembre 2013, n. 225; conf. Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Vermiglio, rel. Borsacchi), sentenza del 18 marzo 2014, n. 26

  7. [7]

    Tribunale Nola Ord. del 19 settembre 2019 secondo cui << Il cosiddetto patto di quota lite non può essere ritenuto valido se le parti rimettono la determinazione della quota spettante al professionista soltanto a una percentuale di quanto percepito dal cliente ad esito della controversia. E’ invece da considerarsi lecito l’accordo con il quale tali spettanze sono determinate in ragione di una prefigurazione prospettica del valore della lite o, comunque, in base a una quantificazione esatta e non aleatoria>>; Tribunale Bologna Sez. II, 12 giugno 2020 secondo cui << Il patto volto a determinare il corrispettivo spettante all’avvocato in modo proporzionale agli esiti della controversia è valido se stipulato in forma scritta e se l’ammontare delle spettanze è calcolato in base al valore dell’affare, definito secondo una valutazione prospettica, e non a quanto in effetti conseguito dal cliente in conclusione del processo, in modo che il contratto non risulti connotato in termini di aleatorietà>>

  8. [8]

    Cass. civ. Sez. Unite, 25-11-2014, n. 25012 in Wolters Kluwer

  9. [9]

    Cass. civ. Sez. II, 05-10-2022, n. 28914 in Wolters Kluwer online.leggid’italia.it; in senso conforme Cass. civ. Sez. Unite Sent., 04-03-2021, n. 6002 secondo cui << L’aleatorietà del patto di quota lite non ne impedisce la valutazione di equità ai fini disciplinari, al fine di verificare se la stima effettuata dalle parti era, all’epoca della conclusione dell’accordo che lega compenso e risultato, ragionevole o, al contrario, sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, tenuto conto dei fattori rilevanti, quali il valore e la complessità della lite e la natura del servizio professionale, comprensivo dell’assunzione del rischio>> in Wolters Kluwer online.leggid’italia.it.

  10. [10]

    Cass. civ. Sez. III Sent., 06-07-2018 n. 17726 (rv. 650181-01), in Wolters Kluwer

  11. [11]

    Cass. civ. Sez. II, 30-07-2018 n. 20069,  in Wolters Kluwer

  12. [12]

    Cass. civ. Sez. Unite Sent., 10-08-2012, n. 14374 (rv. 623482) in Wolters Kluwer

  13. [13]

    CDD Napoli (pres. De Maio, rel. De Maio), decisione n. 46 del 13 aprile 2022 in www.codicedeontologico-cnf.it

  14. [14]

    Cass. civ., 27-08-1985, n. 4557 in Wolters Kluwer online.leggid’italia.it.

  15. [15]

    Consiglio nazionale forense, parere n. 17 del 4 febbraio 2022

  16. [16]

    Consiglio Nazionale Forense (Pres. Alpa, Rel. De Giorgi), sentenza del 27 dicembre 2012, n. 196

  17. [17]

    Cassazione Civile, sez. Unite, 19-10- 2011, n. 21585


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